Roberto Festa, medico di base e Daniele Festa, 8 anni figlio di Roberto, sono i due protagonisti di una triste storia nella quale vengono citate anche la madre e un’amichetta di Daniele, donne che non vengono nominate ma citate solo in riferimento a quello che, a tutti i costi, fanno essere il protagonista di questa storia.

Dei genitori che non spiegano i fatti “esiste una legge dal 1978 che tutela la maternità e le donne che, purtroppo, è disapplicata perché la prevenzione non funziona e le donne vengono umiliate” danno giudizi con l’ipocrisia di chi pretende di avere la verità in tasca.

Dei genitori (ma attenzione i giudizi vengono attribuiti alla madre di Daniele) che giudicano e fanno la morale a 1.450 donne che, dolorosamente, nelle Marche nel 2019 hanno dovuto percorrere la via dell’interruzione di gravidanza.

Dei genitori, questa volta il padre che sembra essere il vero regista e attore principale della vicenda, che si considerano bonari provocatori e si assurgono a difensori della vita oltre che a giudici della morale e delle scelte delle donne senza conoscere la loro storia.

Io la conosco la storia di quelle donne, alcune tra le 1.450 le conosco anche personalmente e posso serenamente affermare che la loro scelta è stata sofferta e lungamente meditata e che le ha segnate per tutta la vita.

Come donna e come persona che si occupa di parità di diritti, non solo formali, tra i generi non mi permetto di esprimere giudizi come, invece, viene fatto in questa triste storia. Rivendico, però due aspetti: il rispetto e la completa applicazione delle leggi e il diritto di bambine e bambini di essere tali senza essere strumentalizzati.

Aggiungo, infine, la mia solidarietà con Manuela Bora.