Mi hanno chiesto di affrontare questo argomento e, inevitabilmente, mi sono ritrovata a riflettere sul tema cardine della conciliazione.

Ho provato a misurare e pesare una mia giornata tipo, la giornata di una cinquantenne con un marito ed un figlio preadolescente, un padre malato ed un lavoro autonomo con tutti i pregi ed i difetti del caso.

In un giorno sono 2 le ore dedicate alla gestione della famiglia e della casa in modo esclusivo mentre altre 2 ore sono gestite unitamente a mio marito ed imputabili, quindi, per metà.

Attività domestiche mensili  90 ore.

Il ruolo di educatrice mi assorbe, in via esclusiva, almeno 2 ore al giorno solo con mio figlio – in aggiunta alle ore precedentemente conteggiate – e circa altre  4 ore settimanali sono dedicate all’educazione volontaria di un gruppo di ragazzi tra i 16 ed i 20 anni.

Attività come educatrice mensile 55 ore.

Mediamente sono 3 le ore in cui ogni giorno “faccio la figlia” grazie al fatto che ho delle sorelle con cui condividere tale gestione e a casa dei miei c’è un aiuto fisso, mi dedico a mio padre e mia madre e alle loro esigenze per un totale di circa 90 ore mensili.

Attività di assistenza familiari mensili 90 ore.

Il tempo giornaliero dedicato al lavoro extrafamiliare come consulente manageriale e formatrice è di circa 6 ore al giorno per un totale mensile di 120 ore.

Attività professionale mensile 120 ore.

Infine c’è il mio ruolo istituzionale come Consigliera di Parità che assorbe mediamente altre 4 ore al giorno per un totale di 120 ore mensili.

Attività professionale/istituzionale mensili 120 ore.

A guardare questi conteggi scopro che sono 475 ore al mese impegnate pari ai due terzi del monte ore disponibili il che significa che sono mediamente 8 le ore di tempo “per me” comprese quelle di sonno.

Considerato che il mio lavoro come consulente manageriale viene remunerato così come è prevista un’indennità di ruolo, anche se a puro titolo formale, per l’attività di Consigliera di Parità restano da valutare in termini economici ben 235 ore mensile ossia quasi la metà delle mie normali attività.

Escludiamo tutte le valutazioni sulla qualità del lavoro e sulla forte componente affettiva ed emotiva che lo contraddistinguono rendendolo unico ed irripetibile e compariamo il mio lavoro a quello di Collaboratici Familiari, Badanti o Educatrici reperibili sul libero mercato.

Teniamoci bassi con  le tariffe ed ipotizziamo solo € 10 per ogni ora, i miei emolumenti mensili dovrebbero essere, quindi, di € 2.350,00 di molto superiori al reddito medio di un qualsiasi impiegato o operaio.

Certamente molte di queste attività, proprio per la grande componente affettiva ed emotiva che hanno, non le delegherei ad altri e, infatti, alcune di queste attività le condivido anche con mio mario e con le mie sorelle.

Una parte delle attività delle donne potrebbero essere delegate ad altri con la conseguente creazione di posti di lavoro e benessere diffuso ma, purtroppo, mancano le risorse e mancano i servizi per consentire alle donne di vivere con serenità il proprio lavoro extrafamiliare delegando ad altri alcune attività.

Per ogni donna che rimane a casa, quindi, si contabilizzano sia un posto di lavoro diretto in meno che almeno un altro (o due partime) posto di lavoro indiretto derivante dalle esigenze di conciliazione e gestione familiare.

In caso d’inoccupazione degli uomini non è possibile fare gli stessi calcoli perché gli stereotipi e le abitudini culturali fanno si che ad occuparsi della gestione familiare (pulire, riordinare, gestire i pasti) siano ancora prevalentemente le donne.

Per questo un uomo che lavora non produce, in termini di aumento dei posti di lavoro, gli stessi benefici di una donna…..

Quindi, se creiamo maggiori opportunità di lavoro per le donne facciamo del bene a tutta la società!

(*) articolo già scritto il 27 settembre 2012 qui