I volti del bullismo sono più di quanti pensiamo ma si somigliano tutti.

Le Consigliere di Parità si occupano di discriminazioni (di genere e nei luoghi di lavoro) ed io svolgo questo ruolo tecnico per conto del Ministero del Lavoro da 18 anni (dal 2001 per la Provincia di Ascoli Piceno e dal 2011 per la Regione Marche).

Cosa vuol dire discriminare?

Vuol dire fare delle differenze nella valutazione e nella gestione di rapporti e situazioni li dove, invece, differenze non dovrebbero esserci.

Si può essere discriminati per come si è, per le origini, per delle caratteristiche o per delle convinzioni. Tutti elementi distinguibili, in qualche modo determinabili operando un confronto tra chi viene discriminato e il resto considerato “normale” o di riferimento.

Perché si discrimina?

A mio avviso la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: chi discrimina lo fa per paura di ciò che non conosce e che pensa possa turbare il suo equilibrio…

Questa paura nasce dall’ignoranza, dalla non conoscenza di qualcosa o di qualcuno e, ancor prima, da una scarsa conoscenza di se’.

La reazione a questo mix di paura e ignoranza scatena l’aggressività e produce il bullismo quindi un bullo è nipote di una discriminazione e figlio di un incesto tra arroganza e paura che sono sorelle.

Però il bullo non ha ragione di esiste senza il suo pubblico e senza le sue vittime…

Chi assiste, complice, agli atti di bullismo è ugualmente un bullo che, però, ha persino paura di mostrare la sua aggressività e la reprime.

Chi è vittima ha paura, paura delle aggressioni e rimane inerme difronte ad esse, convincendosi intimamente di meritarle poiché non all’altezza o non omologato.

Tutti hanno in comune la paura dell’ignoto: il bullo ha paura del confronto con le sue vittime, il pubblico ha le stesse paure del bullo ma non ha il coraggio di manifestarle e la vittima si convince, con la paura, di meritare determinati trattamenti.

Eppure chi è forte veramente, ma non se ne rende conto, è proprio la vittima.

In base ai contesti il bullismo assume altri nomi e caratteristiche: può chiamarsi mobbing (e suoi derivati in base alla relazione gerarchica tra i soggetti coinvolti) se avviene nei luoghi di lavoro; può chiamarsi violenza di genere se deriva da una discriminazione di genere; può essere violento se ti tocca fisicamente e può essere psicologico se ti ferisce nel profondo delle tue consapevolezze.

Il bullo può essere chiunque si senta inadeguato e decida di reagire con arroganza e violenza nei confronti di chi mina le sue sicurezze.

La prima cosa che dobbiamo dire, in modo chiaro, a chi subisce il bullismo è che ciò avviene solo perché chi è considerato vittima, in realtà, è il soggetto più forte e che è proprio la sua forza a fare paura agli altri che non hanno strumenti per contrastarla e reagiscono da bulli.

Sono consapevole di quanto sia difficile far raggiungere questa consapevolezza a chi è vittima di bullismo perché vuol dire sovvertire l’ordine delle cose a cui si è lentamente assuefatto per attenuare dolore e soffrire in silenziosa solitudine.

Bisogna agire sulle vittime per poter correggere i bulli diretti o indiretti (il pubblico) qualunque essi siano.

Ritengo urgente e fondamentale fare una capillare attività di prevenzione dando concretezza a quanto scritto nella Legge 207/2015 conosciuta come buona scuola ossia prevedere nei piani dell’offerta formativa delle scuole l’attuazione dei principi di pari opportunità (la non discriminazione) promuovendo l’educazione alla parità allo scopo di prevenire la violenza di genere e tutte le discriminazioni.

Per assurdo prima della Legge 207 c’erano più interventi nelle scuole anche se erano disomogenei e disorganizzati, poi la battaglia mediatica sul gender ha reso tutto più difficile ma più strutturato ed organizzato.

Sono assolutamente convinta che questa battaglia va combattuta con lo strumento dell’educazione basata sul sistema di riferimento e sull’esperienza insegnando l’empatia ed il rispetto che non possono prescindere da un’attenta osservazione di se’ e delle proprie modalità di relazione.

L’educazione deve passare per le scuole e attraversare le famiglie per essere sostenuta in tutte le occasioni formative che ci sono a cominciare dai media e dai social.

Gli adulti devono smettere di essere a loro volta dei bulli a partire dai politici che hanno linguaggi e comportamenti violenti e prevaricanti e comprendere che devono cambiare per primi.

Solo con l’unione d’intenti e la consapevolezza che ciascuno di noi può diventare, anche inconsapevolmente, il bullo (o il riferimento negativo) per qualcuno potremo provare a modificare l’attuale situazione.

La mia ricetta è semplice ma lenta e difficile da realizzare e ve la propongo:

  • Conosci te stesso/a
  • Identifica le tue aree di miglioramento
  • Impegnati a cambiare tu
  • Spera nel lento e conseguente cambiamento degli altri

Da ripetere innumerevoli volte al giorno e per tutta la vita con profondo amore per se e per gli altri!