Pensieri sparsi tornando a casa dopo una delle tante giornate tra impegni familiari e lavorativi e la sana determinazione di prendermi sempre anche un poco di tempo solo per me.

Ascolto alla radio di Stato un programma nel quale, in previsione di domani 8 marzo, chiedono alle donne di raccontare come si sono cimentate in lavori tipicamente maschili e di come sono arrivate vicine al tetto di cristallo in ambienti lavorativi prettamente maschili.

Inevitabilmente ci sono anche tante amenità condite da luoghi comuni, da una parte sorrido anche perché conosco il programma che affronta temi seri in modo leggero e, dall’altra, continuo a sorprendermi per ciò che continua ad accadere nel nostro paese.

Ad un tratto arriva la telefonata di una bancaria che dichiara “sono stata assunta perché volevano una donna in filiale: eravamo 10 uomini ed io” e racconta che il suo ruolo si riferiva ad attività finanziare considerate di pertinenza maschile e che agli incontri di area si trovava ad essere l’unica donna.

Continua il racconto sulla situazione attuale (riferisce di avere due figli, un cane e un marito) e della sua carriera così riferisce “ora sono Direttore della filiale…abbiamo un Capo Area che è donna…” e qui esclamo: ma sei una donna! Hai faticato ad accreditarti e ti definisci al maschile? Hai un’altra donna in carriera con te e la definisci al maschile? Si dice Direttrice di filiale e che si usano gli articolo “avete una Capo area”!

Lo so, rischio di sembrare pesante, spesso parlo con la radio e con la televisione per sottolineare questi aspetti che non sono affatto marginali perché in molti casi la forma si trasforma in sostanza e sono convinta che si debba cominciare dai piccoli passi e linguaggi nel quotidiano.

Ma la conduttrice del programma ben conosce la materia, non batte ciglio e incalza chiedendo se nell’azienda della bancaria esistono discriminazioni e qui mi preoccupo davvero.

La signora dice che “No, non ci sono discriminazioni, si tratta di un grande gruppo bancario, non ci sono discriminazioni ma, ovviamente, per fare carriera bisogna essere disposti a fare sacrifici, ad accettare trasferimenti e trasferte che ti costringono a sacrificare la famiglia e la vita privata…”

A questo punto, lo ammetto, mi sono arrabbiata e sarei voluta entrare nella radio per spiegare che è esattamente quella la discriminazione collettiva indiretta che c’è in quella grande azienda e che il fatto che sia un grande gruppo non sia necessariamente un sinonimo di correttezza.

Mi trovai in una situazione analoga già circa venti anni fa quando mi chiesero una formazione/consulenza al Comitato Pari Opportunità dell’Istituto Superiore per la Sanità che era abituato ad elaborare indagini nazionali ma non a lavorare sull’Ente e le dinamiche organizzative interne.

Ricordo che le scienziate con cui mi confrontai sostenevano che le procedure legate alla carriera erano assolutamente neutre e trasparenti poiché erano basate esclusivamente su titoli e curriculum scientifici così chiesi loro quali fossero i progetti che con i quali si acquisivano maggiori titoli e punteggi e la risposta fu “i progetti che richiedono lunghe permanenze all’estero”. La conclusione fu che queste donne, tutte le donne dell’ente difficilmente partecipavano a progetti di maggiore prestigio perché “capisce, per una donna è difficile lasciare la famiglia per un lungo periodo, soprattutto se ci sono figli…per gli uomini è più facile…”.

La discriminazione c’è ma non si vede, è indiretta è non viene percepita neanche dalle donne probabilmente assuefatte da queste dinamiche.

Immediatamente sono tornata a riflettere sul percorso, appena concluso, che insieme alle mie colleghe Consigliere di Parità per le altre provincie marchigiane abbiamo organizzato in collaborazione con le Commissioni Pari Opportunità degli Ordini forensi delle Marche, un percorso di formazione in diritto antidiscriminatorio finalizzato alla creazione di una short-list nazionale di Avvocate ed Avvocati che possano collaborare con le Consigliere di Parità a seguito del superamento di una prova scritta. Una lista molto ristretta perché i dati nazionali ci dicono che solo il 30% delle prove risultano superate.

Nelle Marche abbiamo appena iniziato la correzione dei test, ne sono arrivati 40 a fronte di oltre 80 aventi diritto per aver frequentato il corso e, esaminate le prime 10 prove, sono solo in 4 hanno superato lo scoglio della prima domanda che è condizione imprescindibile per l’iscrizione nella lista: è possibile un solo errore ma non può essere sbagliata o incompleta la prima risposta.

Il discrimine è basato sulla definizione della discriminazione diretta, della discriminazione indiretta e sulle fattispecie introdotte dalla Legge 162/2021 che ha integrato il D.Lgv 198/2006 ampliando, di fatto, alle tematiche di cui ho scritto sopra.

Direi, quindi, che il mio contributo a questa Giornata internazionale della donna arriva a questo punto con l’illustrazione dei concetti di cui sopra cercando di essere più chiara ed esplicativa possibile.

Iniziamo precisando che a trattare tale argomento è l’art. 25 del D.Lgv 198/2006 che è conosciuto come Codice delle pari Opportunità e che è stato integrato dalla legge 162/2021 e che distingue:

La discriminazione diretta avviene quando, per ragioni legate al sesso, lavoratrici o lavoratori subiscono un pregiudizio o subiscono trattamenti sfavorevoli rispetto ad altre/i che si trovano in analoga situazione.

La discriminazione indiretta avviene mediante comportamenti, prassi, accordi ed organizzazioni che sono apparentemente neutri e che, invece, hanno effetti diversi tra lavoratrici e lavoratori determinando, a parità di situazioni, disparità di trattamento.

La legge 162/2021 ha integrato tali definizioni aggiungendo le fattispecie legate alla modifica dell’organizzazione aziendale, dei tempi di lavoro che pregiudicano le esigenze di cura personale o familiare (gravidanza, maternità e paternità) oltre che opportunità di partecipazione alla vita aziendale e che possano limitare l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione di carriera.

Semplificando le discriminazioni indirette sono appunto quelle che non si vedono e che nel caso della bancaria di ieri o delle scienziate di venti anni fa, non vengono percepite perché “…non ci sono discriminazioni ma, ovviamente, per fare carriera bisogna essere disposti a fare sacrifici, ad accettare trasferimenti e trasferte che ti costringono a sacrificare la famiglia e la vita privata…” oppure “… per una donna è difficile lasciare la famiglia per un lungo periodo, soprattutto se ci sono figli…per gli uomini è più facile…” o tante altre giustificazioni che troppo spesso le donne danno alle tante difficoltà che incontrano sul luogo di lavoro.

Oggi, 8 marzo, non è una festa ma un’occasione per riflettere…e agire!

  • la fotografia risale al 1995 ed è un omaggio a me e alle mie sorelle