Tra le iniziative del PNRR è prevista la certificazione di genere ossia uno strumento di cui le aziende di ogni dimensione possono dotarsi per manifestare la loro attenzione verso le tematiche di genere e una cultura aziendale (che porta ad una strategia complessiva) che persegue l’equilibrio di genere.
Questo strumento dovrebbe innescare una rivoluzione culturale attraverso una maggiore attenzione alle tematiche di genere o, per dirlo con le parole delle linee guida, dovranno avviare un “percorso sistemico di cambiamento culturale”. Tutto questo in una realtà, come quella italiana, in cui il patriarcato è ancora molto radicato e i cambiamenti culturale – sia degli uomini che delle donne – sono difficili da realizzare.
Del principio giuridico delle pari opportunità e del suo risultato ossia della parità di genere ho scritto già più volte ed in particolare qui ma la domanda che continuo a pormi è se realmente lo strumento della certificazione di genere potrà innescare il desiderato cambiamento culturale e provo a spiegarmi.
Il percorso per la certificazione si sta delineando anche se ancora molti nodi non sono stati sciolti ma l’aspetto evidente è che il soggetti certificatori, sulla base di apposite linee guida (UNI/PdR 125:2022) opereranno alla stregua di come avviene per le certificazioni di qualità e altre similari già esistenti.
Ogni attività di certificazione, come sempre avviene, sarà preceduta da un percorso di mappatura e scrittura delle procedure che l’azienda si impegnerà a seguire e saranno proprio queste il cuore della certificazione dovranno realizzare l’atteso cambiamento.
La prima indicazione certa è che le aziende potranno accedere ad un contributo a fondo perduto sia per questa prima fase che per l’attività propriamente di certificazione e che, inevitabilmente, ci sarà la corsa al business da parte di soggetti che poco sanno di parità di genere e pari opportunità. Questa prima considerazione scaturisce dalla mia esperienza più che trentennale sull’argomento e dal confronto con tecnici, politici e donne che nulla comprendono realmente travisandone i concetti.
Mi permetto, quindi, di suggerire alcune accortezze alle aziende che decideranno di intraprendere questo percorso:
- Diffidate di chi vi propone la consulenza propedeutiche per un importo pari al contributo statale: fare impresa significa credere in ciò che si fa e per questo investire anche il capitale proprio.
- Preferite chi vi offrirà un’attività di mentoring e di affiancamento post certificazione poiché la vera difficoltà che incontrerete sarà quella di realizzare e vivere ogni giorno quello che sarà progettato (questo significa cambiare la cultura aziendale perché richiede tempo e un lavoro continuo).
- Coinvolgete tutta l’azienda fin dall’inizio del percorso e chiedete che le collaboratrici e i collaboratori abbiano un ruolo nel percorso. Se l’azienda è piccola e si avvale di collaborazioni esterne anche queste devono essere coinvolte.
- Leggete con attenzione i curricula delle consulenti che vi verranno proposte: devono essere donne che realmente si occupano professionalmente di tali tematiche da anni e con un percorso sul campo, diffidate di percorsi prevalentemente teorici e, soprattutto, diffidate di uomini che pretendono di spiegarvi quali sono le problematiche delle donne.
È importante ricordare che, oltre ai contributi a fondo perduto per le attività di certificazione, le aziende che avranno eseguito tali procedure avranno anche altri benefici tra cui lo sgravio contributivo parziale e maggiori possibilità di ottenimento degli appalti pubblici.
Anche per questo raccomando massima attenzione nel percorso di certificazione poiché in Italia,a differenza degli altri stati europei, esuistono figure pubbliche (pubblici ufficiali) preposte proprio per la verifica delle discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro (ossia le mancate pari opportunità), queste figure sono le Consigliere di Parità che stanno concertando con il Ministero le modalità di verifica e monitoraggio dell’intero percorso di certificazione e che, per le loro attività di verifica, si avvalgono con corsia preferenziale dei servizi ispettivi nazionali.
Per concludere voglio esprimere il mio grande rammarico rispetto a questa tematica: in tutti gli interventi politici relativi alla certificazione di genere viene evidenziato l’obiettivo di aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: sempre un obiettivo quantitativo…
Ritengo che, invece, si debba lavorare sulla qualità delle relazioni affinché queste siano realmente paritarie, e fedelmente rispecchianti la nostra costituzione, per realizzare una società equilibrata che sappia guardare alla qualità più che alla quantità.