Donne per la pace e contro la guerra ne abbiamo tante a partire dal 411 a.c. quando Lisistrata, protagonista dell’omonina opera di Aristofane propose lo sciopero del sesso tra le donne greche per chiedere ai loro uomini di fermare la guerra.

Storicamente sono sempre stati gli uomini ad andare in guerra mentre le donne subivano le conseguenze della follia della guerra essendone vittime, dirette o indirette, e destinate a ricucire il clima.

La storia ci racconta di molte occasioni in cui le donne hanno protestato apertamente contro la guerra e tutto il movimento femminista è sempre stato strettamente correlato con il movimento pacifista.

La stessa giornata internazionale delle donne cade l’8 marzo in ricordo della sfida alla tirannia zarista che, nel 1917, le donne russe lanciarono assumendo un ruolo attivo e guidando a San Pietroburgo una grande manifestazione per reclamare la fine della guerra, chiedendo “pane e pace”.

Per il calendario giuliano allora in vigore in Russia era il 23 febbraio che coincide, appunto, con l’8 marzo…e queste coincidenze affollano la mia mente in questo periodo di guerra perché il 23 febbraio eravamo alla vigilia dell’inizio di questo folle conflitto nel cuore dell’Europa, esattamente 105 anni dopo la grande protesta delle donne che dette inizio alla Rivoluzione russa di febbraio.

In Italia, nel secondo dopoguerra, furono proprio le donne (organizzate nell’UDI – Unione Donne Italiane) ad assumere la difesa della pace quale bene supremo ed attivarsi con un multiforme impegno.

Tra il 1947 e il 1948 le donne italiane avviarono una raccolta delle firme per abolire la guerra e consegnarono oltre 3 milioni di firme al presidente della Repubblica De Nicola e poi a Benjamin Cohen segretario generale dell’ONU a Parigi.

Come ha raccontato Marisa Rodano nel marzo 1948 le italiane raccolsero le firme in modo capillare, dai più piccoli paesi di montagna alle grandi città, entrando in ogni casa coinvolgendo nel dibattito intorno al problema dell’abolizione della guerra le donne di tutti i ceti, di tutte le condizioni, di tutte le categorie.

Fu la prima volta che in Italia si sviluppò un grande movimento di popolo di cui le donne sono state iniziatrici e dirigenti con un grande corteo di donne a Milano e un’assise di Roma con 50 mila delegate giovani e anziane, operaie e contadine, massaie e intellettuali.

Nel 1950 la giornata dell’8 marzo fu celebrato con iniziative a sostegno della campagna del comitato mondiale della pace e della “Lettera a Einaudi” con la quale si chiedeva che le forze di polizia in servizio alle manifestazioni di lavoratori non fossero dotate di armi da fuoco.

Per le donne la pace era una condizione per costruire il paese, ed anche la modalità per poter avere un ruolo diverso in una società diversa e vivere in una società in cui i conflitti fossero risolti non con le guerre.

Un chiaro esempio dei tempi più recenti è quello di Laura Chinchilla Miranda, già ministra e presidente della Costa Rica che, 2013 ospite di PresaDiretta raccontava “Da quando abbiamo deciso di abolire l’Esercito siamo diventati il paese più sicuro in Centro America… è difficile da comprendere, ma ci siamo liberati dai colpi di Stato e dalle guerre civili perché non avendo esercito risolviamo tutte le questioni per via pacifica… abolire l’esercito ci ha permesso di investire i soldi previsti per la difesa per la salute e per l’educazione…ha comportato un alto tasso di sviluppo umano, una grande dotazione di opere pubbliche e una preservazione del proprio patrimonio faunistico e floristico: una notevole parte del territorio (27,9%) è dichiarata parco nazionale. Come effetto di sviluppo si notano gli alti livelli di alfabetizzazione (oltre il 95%), e un buon servizio sanitario pubblico.”

Dunque la pace è l’unico luogo che può aiutarci a crescere e a valorizzare le differenze per realizzare una reale parità.

Per questo motivo invito tutte le donne che credono nella pace e nel confronto diplomatico ad oltranza per raggiungerla in ogni luogo scegliendola come percorso di trasformazione della politica e della società di unirsi in un percorso comune.

Lancio da qui una comunity aperta di Donne per la pace in cui confrontarsi e costruire insieme, tra sorelle, percorsi di pace in ogni luogo.

Una comunity che deve essere positiva e costruttiva, mai contro (se non della violenza e della guerra) in cui le donne possano ritrovarsi e progettare un futuro di pace e parità.