Nel mio ruolo tecnico di Consigliera di Parità (Pubblica ufficiale nominata dal Ministero del Lavoro per occuparsi, nel territorio di competenza, di discriminazioni nei luoghi di lavoro con particolare riferimento alle discriminazioni di genere) devo fare chiarezza e rispondere, così, alle tante richieste che mi sono arrivate nelle ultime ore.

Le pari opportunità sono un principio giuridico inteso come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico.

In particolare, quando si parla di pari opportunità tra uomini e donne ci si occupa di combattere gli stereotipi di genere che fissano ruoli subalterni o percorsi precostituiti per un genere a discapito dell’altro.

La Commissione Pari Opportunità tra Uomo e Donna della Regione Marche è un organismo elettivo (e quindi politico)allo scopo di rimuovere le discriminazioni nei confronti delle donne e di promuovere pari opportunità tra i sessi ed è stata istituita nel 1986 con la Legge Regionale n. 9.

Per la precisione si tratta di un organo elettivo di secondo livello (il mandato coincide con la legislatura) poiché le componenti, candidate da componenti dell’Assemblea Legislativa regionale o da realtà portatrici di interesse vengono elette dall’Assemblea Legislativa regionale (avvenuta il 16 febbraio 2021) e, al suo interno, vengono elette la Presidente e due vice Presidenti durante la seduta d’insediamento che si è svolta il 14 maggio scorso.

Erroneamente si ritiene che il tema principale da trattare sia quello che, fino a qualche tempo fa, era declinato come conciliazione dei tempi di vita e di lavoro mentre questo è il frutto del più grande stereotipo sui rapporti sociali ossia il ritenere che le donne siano predestinate ad occuparsi delle attività di cura e che il lavoro fuori casa per loro debba essere solo un’opzione.

Le disparità tra donne ed uomini in Italia sono ancora troppe ed hanno tutte radici negli stereotipi che derivano dal sistema patriarcale in cui abbiamo vissuto e che era intrinseco nel diritto di famiglia che abbiamo avuto in vigore fino al 1975 e che trovano ancora ostacoli nell’attribuzione del cognome (la Corte Costituzionale ha decretato che l’attribuzione del solo cognome paterno è un retaggio del patriarcato).

Le donne continuano ad essere sottorappresentate nei luoghi in cui si decide e c’è chi si ostina a ridicolizzare questa mancanza parlando di quote (vedi qui il mio scritto) mentre l’emergenza è quella di riprodurre gli equilibri naturali della società costituita in parti uguali da donne e uomini perché la democrazia non può essere tale se non è paritaria con uguale partecipazione di entrambi i generi.

Il lavoro delle donne, a parità di condizioni, è retribuito circa il 25% in meno rispetto a quello degli uomini e le donne sono presente nelle posizioni apicali in misura inferiore in coerenza con gli stereotipi che, per esempio, hanno avuto accesso in magistratura solo nel 1963 perché, fino ad allora, era ancora in vigore l’articolo 7 della legge 1176 del 1919 che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicavano l’esercizio di diritti e di potestà politiche. Si dovette pronunciare sull’illegittimità la Corte Costituzionale nel 1960 e il Parlamento impiegò tre anni per cambiare la norma.

Questi sono solo alcuni esempi di situazioni in cui molto c’è da fare per raggiungere una parità effettiva tra donne e uomini ma, circa quanto ho scritto in precedenza sulle attività di cura, necessitano ulteriori esplicitazioni.

Come ho scritto è desueto parlare di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e sull’eliminazione di questa distorsione ho ampliamente scritto in passato proponendo di cambiare il punto di vista e parlare di condivisione dei ruoli nell’ambito familiare perché comune è il progetto di vita e comuni devono essere gli impegni.

L’Europa, nei progetti per l’identificazione delle priorità d’investimento per la politica di coesione 2021/2027 (progetti COESION) ha coerentemente cambiato la terminologia e parla di equilibrio tra vita professionale e vita familiare (Work-life Balance) perché tutte le tematiche inerenti la coesione sociale, che va oltre il concetto di pari opportunità, si basa essenzialmente sul tema dell’equilibrio, della giusta misura.

Concludo con un’altra dovuta precisazione legata al mio ruolo istituzionale di Consigliera di Parità per la Regione Marche del quale ho già preannunciato la conclusione per cui temo di aver generato perplessità e preoccupazione.

Le Consigliere di Parità sono pubbliche ufficiali nominate dal Ministero del Lavoro a seguito di designazione territoriale basata su una valutazione comparativa dei curriculum che devono dimostrare “specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro comprovati da idonea documentazione”.

La procedura per la designazione e per la nomina richiede uno specifico percorso allo scopo di riconoscere e garantire le competenze tecniche e, pertanto, il ruolo è principalmente di natura tecnica tanto è vero che, la designazione da parte dell’Ente e la nomina da parte del Ministero possono essere rifiutate per carenza di requisiti oggettivi oltre ad essere sottoposte al meccanismo dello spoil system.

Le Consigliere di Parità, proprio perché tecniche e di pubbliche ufficiali possono svolgere al massimo due mandati consecutivi nello stesso ruolo territoriale (4 + 4 anni) ed hanno l’obbligo della prorogatio fino al compimento (Decreto Ministeriale di nuova nomina) delle procedure rinnovo.

Per quanto alla mia posizione di Consigliera di Parità per la Regione Marche sono stata nominata la prima volta a luglio 2011, tra il primo ed il secondo mandato ho avuto un periodo di prorogatio fino alla seconda nomina di aprile 2016 e, quindi, sono nuovamente in regime di prorogatio da aprile 2020; c’è stato un primo avviso che non ha portato a designazione e ne è in corso un secondo (Decreto n. 2 del 5 maggio 2021) e continuerò a svolgere il mio mandato fino a quando sarà necessario.