Quante cose facciamo o non facciamo per un figlio.

Prendo spunto dalla foto che ho inserito ma, anche e soprattutto, da fatti di cronaca recenti e da affermazioni che ho colto in giro e sul web che mi lasciano basita.

Per avere un figlio ci sottoponiamo a cure mediche invasive e devastanti oppure accettiamo di farci rivoltare come calzini per far valutare le nostre capacità genitoriali; molto speesso spendiamo fortune per intraprendere un percorso di fertilità o di adozione internazionale.

Molto spesso l’errore è insito nella ricerca ossessiva di un “figlio proprio” come se un figlio debba rispondere ad esigenze personali, di gratificazione e/o realizzazione, degli adulti che, altrimenti, si sentono incompleti e non realizzati.

I figli diventano la risposta ad un desiderio egoistico, programmati in modo esasperato o capitati ed accettati più o meno di buon grado.

Il vero lavoro viene dopo, quando ci scontriamo con maternità e paternità e stereotipi di ogni genere e, intanto, dobbiamo fare delle scelte – economiche e di valore – pensando alla nostra occupazione lavorativa, al consumismo, al contingente che ci attanaglia.

Alcune donne rinunciano al lavoro fuori casa, non sempre desiderose nel profondo di farlo, scendono a compromessi con se sesse e con i partner.

Ma questo è ancora niente…

Il grosso del lavoro sta nel crescere questi figli come individui ed aiutarli a spiccare il volo, ad essere forti ed autonomi portatori del loro individualità in una realtà he i vole spesso omologati.

Quanti errori vengono fatti nella convinzione di fare bene?

Spesso educhiamo per convenzione, senza accorgercene perché la forma di educazione più profonda è quella che passa con l’esempio di tutti i modelli che ci circondano.

Conosciamo veramente questi futuri adulti?

Vogliamo veramente contribuire al loro essere adulti?

Riusciamo ad ascoltarli nel profondo?

Siamo in grado di comprendere i loro silenzi e i loro pensieri?

I modelli che vengono offerti sono stracolmi d’ipocrisia, ignoranza, opportunismo e violenza mentre, sempre più, le generazioni sono assuefatte a certi standards.

Troppo spesso ci fermiamo all’apparenza: “sembra una famiglia normale”, “era bravo a scuola”, “non aveva problemi” e mille altre frasi fatte che ci chiudono gli occhi e quietano le coscienze.

Sento il bisogno di urlare che non è così, che dobbiamo imparare a percepire la violenza – di ogni tipo – che aleggia e che fa danni irreparabili in ciascuno di noi, soprattutto in chi sta costruendo la propria vita e fatica ogni momento per farlo.

Vi prego, cambiamo rotta, ci stiamo autodistruggendo!