Denunciare vuol dire decidere di giocare da protagonisti, provare a mettere un punto e dire con fermezza ed a voce alta quello che sta succedendo.

Significa cambiare il proprio punto di vista, modificare il proprio atteggiamento e assumere un ruolo determinante per il cambiamento delle situazioni che ci opprimono cercando di cambiarle.

La denuncia, in se per se, non è la soluzione del problema o dello stato di disagio ma l’inizio di un percorso, molto spesso lungo e difficile, con il quale rompere il muro  di silenzio in un’ottica di servizio a se stessi e agli altri.

Denunciare non investe solo la sfera personale ma anche quella di coloro che condividono ambienti e situazioni oltre che l’intera società di riferimento.

Denunciare vuol dire rompere il sistema, spesso apparentemente tranquillo, allo stesso modo di quando si getta un sasso nelle acque chete di uno stagno: si formano onde concentriche che si propagano dal punto di rottura verso  l’esterno fino a coinvolgere l’intero specchio d’acqua.

Per questo le denunce sono importanti ed assumono un valore altamente simbolico soprattutto se trattano di argomenti difficili da decifrare e facilmente confondibili nel quotidiano.

L’operazione da fare consiste, prima di tutto in un’analisi serena ed oggettiva della realtà e dei piccoli gesti/fatti quotidiani che sono spesso sintomi di situazioni discriminatorie e di sopruso, a vario titolo, e che troppo spesso non percepiamo come tali oppure viviamo in modo esagerato ed irragionevole.

In questo percorso è utile, ed a volte indispensabile, farsi accompagnare da esperti in grado di analizzare ed aiutare a comprendere così come le Consigliere di Parità fanno nei casi di discriminazione di genere in ambito lavorativo.

È indispensabile capire qual è lo scenario in cui ci si muove e qual è il clima che si respira prima di muoversi perché un intervento in caso di denuncia, se non viene pesato e gestito nel migliore dei modi, rischia di arrecare danni invece dei sperati benefici.

Prima di tutti gli strumenti di reazione (all’ingiustizia, alla violenza, alla discriminazione) bisogna cercarli tra quelli propri del denunciante che dal ruolo di vittima decide di cambiare prioritariamente il proprio atteggiamento e di perseguire obiettivi di benessere.

Con una valutazione rapida e superficiale si potrebbe essere portati a pensare che il progresso e l’evoluzione della società, così come si sono realizzati in questi anni, portino a una riduzione di situazioni da denunciare.

Purtroppo, invece, ritengo che il principale colpevole dell’aumento impressionante di discriminazioni e violenze (che scaturiscono sempre da un’errata percezione di se e degli altri) sia proprio il modello culturale, economico e sociale che si è costruito negli anni.

Il sistema educativo e premiante costruito negli anni è stato tradito dal pressappochismo e dal buonismo portando pochi a fare il lavoro di molti, molti a far male il proprio lavoro il concetto autentico di lavoro che nobiltà poiché svolto con serietà ed onestà si è perso.

Abbiamo fatto crescere la disequità con il pretesto della riduzione dello sforzo che, da troppi, è stato tradotto con atti di furbizia e di prevaricazione.

Abbiamo alimentato l’idea che esistono  classificazioni di valore a prescindere dal merito e insite nell’essere umano invece che nelle oggettive capacità di ciascuno traducendo le diversità in confronto che sfocia in odio sociale.

L’insicurezza sociale ed economica di questi ultimi tempi sta ulteriormente alimentando le tensioni sociali e culturali con la convinzione di superiorità da parte di alcuni nei confronti di altri e, quindi, le discriminazioni.

Ritengo che, proprio per la fase storica che stiamo attraversando, sia fondamentale riappropriarsi del valore della denuncia per cercare di sradicare falsi valori e perseguire l’obiettivo di una società realmente fondata su valori ed interessi comuni.